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Chiunque possieda un cane, o perlomeno la stragrande maggioranza dei proprietari attenti e informati, conosce la leishmaniosi e giustamente la teme, ricorrendo pertanto a strategie preventive, su consiglio del veterinario che includono trattamenti antiparassitari, molto spesso la vaccinazione, ma anche il controllo ambientale degli insetti ematofagi in generale e dei flebotomi in particolare. Per quanto sia vero che la leishmaniosi è un vero flagello per i cani, da diverso tempo a questa parte sta prendendo piede la consapevolezza, anche supportata da numerosi studi scientifici, che non rappresenti un problema esclusivamente canino. Di questa patologia nel cane abbiamo già parlato in passato, ma vogliamo oggi focalizzare l’attenzione sul “paziente gatto”, per chiarire un aspetto molto spesso sottovalutato. 

Cos’è la leishmaniosi

Nonostante sia molto conosciuta, ci teniamo comunque a riassumere le caratteristiche della malattia nota come “leishmaniosi”: si tratta di una patologia di natura protozoaria la cui principale via di trasmissione è la puntura di un dittero alato noto come “flebotomo” (Phlebotomus spp.). L’insetto che compie un pasto di sangue su un animale infetto assume il parassita nella sua forma di “amastigote” contenuto all’interno dei macrofagi (cellule del sistema immunitario del mammifero); a livello dell’apparato digerente del flebotomo, il protozoo si trasforma da amastigote in “promastigote”, ovvero la forma infettante del parassita, e attraverso la puntura successiva andrà a infettare un altro malcapitato ospite dove si moltiplicherà e, se le condizioni saranno per lui ottimali, determinerà lo sviluppo della malattia. Da questa breve e semplificata descrizione si può evincere un principio fondamentale: evitare la puntura del flebotomo, attraverso l’uso di principi attivi che agiscano contro questi parassiti, è il primo baluardo nella lotta alla leishmaniosi.

malattia gatto

La leishmaniosi e il gatto

Per molti anni il gatto è stato considerato un’ospite accidentale per Leishmania infantum, ovvero l’agente eziologico della leishmaniosi nelle nostre zone; gli studi condotti fino ad oggi sulla leishmaniosi felina sono ancora numericamente pochi, ma in vertiginoso aumento visto l’interesse che questo aspetto sta suscitando all’interno del mondo veterinario. Fino ad ora questa patologia nel gatto è stata molto trascurata, in quanto le infezioni nella specie felina decorrono perlopiù in maniera asintomatica, come conseguenza di una maggiore resistenza al patogeno. Le ricerche sulla prevalenza della patologia attualmente disponibili mostrano un quadro piuttosto disomogeneo, che va da oltre il 60% in alcune aree all’estremo sud del Paese fino a percentuali ben al di sotto del 10%, prossime anche allo “0”, man mano che si procede verso il Nord. Questa non è comunque una regola generale: in alcune zone del settentrione infatti, come ad esempio il Piemonte meridionale e la Liguria, la presenza della leishmaniosi è davvero massiccia. Ovviamente si tratta di dati che devono essere contestualizzati e interpretati all’interno della realtà geografica e climatica della singola regione. Un recente studio condotto nell’arcipelago delle Isole Eolie (Otranto et al., 2017) ha mostrato percentuali di prevalenza nel gatto molto preoccupanti: circa il 25% degli animali testati è risultato positivo per la leishmaniosi.

Come si manifesta?

Indubbiamente il gatto risulta essere più resistente all’infezione rispetto al cane e la comparsa di sintomi clinici o lo sviluppo di stati patologici sono decisamente più contenuti. Questo rende più difficoltoso individuare i soggetti infetti, in quanto sono pochi i segnali che ci spingono a pensare che un determinato gatto possa essere stato contagiato. Le manifestazioni cliniche possono variare a seconda che si verifichi un prevalente interessamento della cute, di solito la forma meno grave e più facilmente controllabile, oppure viscerale, quando al contrario vengono interessati gli organi interni. I segni clinici più tipici sono comunque a carico della cute con la formazione di noduli, ulcerazioni, croste e alopecia, ma anche le lesioni oculari, periodontite, linfoadenomegalia e crescita abnorme delle unghie (onicogrifosi) sono degne di nota. Altri segni clinici, che si presentano nei casi più gravi (leishmaniosi viscerale, molto più rara rispetto alla forma cutanea), sono debolezza, apatia, dimagrimento e atrofia muscolare. Soggetti immunodepressi o affetti da gravi stati patologici concomitanti, ad esempio in corso di FeLV (Leucemia Felina) o FIV (Immunodeficienza Felina), contraggono più facilmente la leishmaniosi e manifestano gravi conseguenze che possono portare anche alla morte dell’animale. Nel gatto l’incubazione della leishmaniosi può essere piuttosto lunga, pertanto nelle zone endemiche, soprattutto quelle a elevata prevalenza, potrebbe risultare utile richiedere gli accertamenti del caso (test sierologici o molecolari) anche sui soggetti sani. I gatti che conducono una vita outdoor, o quelli che possono uscire di casa e cacciare la notte, sembrano essere maggiormente a rischio vista la maggior facilità di esposizione ai flebotomi, insetti attivi durante le ore notturne.

malattia cane

Non solo cane e gatto

L’infezione da Leishmania, giusto per chiudere il cerchio, non interessa solamente il cane e il gatto. La leishmaniosi è una zoonosi e quindi può essere contratta anche dall’essere umano, sebbene nella maggior parte dei casi decorra in maniera asintomatica o sia causa di problemi piuttosto contenuti; ovviamente rappresenta un problema per alcune categorie a rischio come i pazienti immunodepressi od oncologici, nei quali la patologia può assumere contorni di particolare rilievo. Detto questo, dagli studi condotti negli ultimi decenni è emerso che moltissime specie, sia domestiche che selvatiche, possono essere infettate dal protozoo, rappresentando dunque un serbatoio naturale non trascurabile, che aumenta quindi il rischio di trasmissione sia al cane e al gatto che all’uomo a seguito di puntura del flebotomo. Tra le diverse specie in questione possiamo indicare il furetto, i mustelidi selvatici, il coniglio, la lepre, il ratto, la volpe e il lupo, ma l’elenco è molto più ampio e in continuo aggiornamento. Pertanto, mai abbassare la guardia contro la leishmaniosi.

(Autori: Cristiano Papeschi e Linda Sartini)

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