Gli anfibi sono i primi vertebrati ad aver colonizzato l’ambiente terrestre del nostro pianeta. Se sono riusciti a sopravvivere sino a oggi, superando indenni le almeno cinque estinzioni di massa che si sono succedute nella storia della vita sulla terra, è perché hanno saputo sviluppare una notevole serie di adattamenti metabolici e comportamentali. Il “segreto” sta nella biodiversità di specie che ha permesso loro di occupare una grande varietà di nicchie ecologiche.
Diamo ora uno sguardo a questi simpatici animaletti spulciando tra le infinite curiosità che li riguardano.
Ad esempio, lo sapevate che la rana (anfibio anuro) più piccola del mondo misura meno di un centimetro (esattamente 7,7 mm) e può stare tranquillamente su una monetina da un centesimo? Si tratta di Paedophryne amauensis, scoperta nel 2009 in Nuova Guinea e classificata nel 2012 da un team di erpetologi della Louisiana State University. La sua taglia veramente microscopica le vale anche il record di vertebrato più piccolo del pianeta, almeno tra quelli sino a oggi scoperti. La rana più piccola presente in Italia è invece la raganella (diverse specie del genere Hyla) che misura pochi centimetri ma resta comunque un gigante rispetto alla Paedophryne.
Lo sapevate invece che la rana golia (Conraua goliath), una specie africana, può superare i 30 centimetri di lunghezza e arrivare persino a 80 centimetri con le zampe distese? In Italia la specie autoctona più grande è il rospo comune (Bufo bufo), di stazza considerevole ma non certo paragonabile a quella della cugina africana…
Lo sapevate che le cosiddette “rane volanti” sono capaci di compiere grandi balzi o addirittura di planare dagli alberi per sfuggire ai predatori o per trovare un partner? Lo fanno grazie alla membrana che collega le loro dita eccezionalmente sviluppate. È singolare il fatto che questa inconsueta capacità si sia evoluta indipendentemente in specie tra loro molto diverse e geograficamente distanti. Esistono infatti rane volanti sia in Asia (famiglia Rhacophoridae) che nelle Americhe (famiglia Hylidae). L’unica caratteristica comune è che si tratta sempre di specie essenzialmente arboricole, le uniche del resto che possono aver bisogno in qualche modo di… volare.
Lo sapevate che uno degli anfibi più longevi al mondo, forse il più longevo in assoluto, vive endemico in alcuni specchi d’acqua delle grotte carsiche di Italia, Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina? Si tratta del Proteus anguinus, anfibio urodelo classificato come specie vulnerabile anche e soprattutto per la peculiarità e la ristrettezza del suo habitat. Si stima che il proteo possa raggiungere anche i 100 anni di vita. Un record niente male per un animaletto lungo poche decine di centimetri (20-25 in media; massima taglia nota poco più di 40 cm). E sempre a proposito di record lo sapevate che il proteo è stato recentemente osservato a 113 metri di profondità? Una prestazione fuori dal comune anche per questo anfibio, da sempre considerato uno specialista delle immersioni.
È ben vero dunque che tra gli anfibi non mancano, come si diceva, le stranezze e le curiosità. Lo sapevate, ad esempio, che esistono diverse rane dette “di vetro”, chiamate così perché hanno una pelle traslucida che permette di osservare senza problemi gli organi al loro interno? Di questo gruppo fa parte una specie, Hyalinobatrachium yaku, scoperta da non molto nelle foreste amazzoniche dell’Ecuador: un animaletto lungo appena un paio di centimetri con l’addome a tal punto trasparente da permettere di osservare persino il passaggio del sangue attraverso il cuore che pulsa.
A proposito di fatti inconsueti, è noto che gli indios sudamericani avvelenavano le loro frecce semplicemente sfiorando con le punte la pelle di piccole rane arboricole. Ma lo sapevate che una tra queste rane, Phyllobates terribilis, un piccolo anfibio color giallo brillante che vive nelle foreste colombiane, ha sulla pelle una quantità di batracotossine sufficiente a uccidere una decina di esseri umani adulti? Aggiungiamo un’ulteriore curiosità: le batracotossine non sono prodotte direttamente dalle rane, ma ricavate dalla dieta, forse da coleotteri di cui sono particolarmente ghiotte. Gli individui allevati fuori dall’habitat originario sono infatti inoffensivi.
Altrettanto inoffensivo è Pleurodeles waltl, diffuso in natura nelle regioni occidentali e meridionali della penisola iberica e ben noto agli appassionati: è un anfibio molto resistente in cattività e in grado di riprodursi regolarmente con un minimo sforzo da parte del suo allevatore. Ma lo sapevate che è anche il più grande e possente dei tritoni europei?
Ma le stranezze non si fermano certo alle dimensioni e alle performance atletiche. Tra gli anfibi ci sono specie che hanno capacità ancora più sorprendenti. La rana lignea (Rana sylvatica), ad esempio, vive in Alaska dove le temperature glaciali non sono soltanto un modo di dire. Ebbene, lo sapevate che vanta un adattamento al gelo davvero incredibile? Quando la temperatura comincia a scendere, nell’organismo viene immesso dello zucchero che ha la funzione di un vero e proprio antigelo. E se il termometro va ancora più giù il suo metabolismo si mette addirittura in… pausa: il cuore cessa di battere, la respirazione viene interrotta e ogni altra funzione si ferma. In questo status di morte apparente la rana lignea può sopravvivere per alcune settimane, anche a -16 °C!
E infine lo sapevate che le rane non possono mangiare con gli occhi aperti? Quando inghiottono una preda infatti chiudono sempre gli occhi con i quali, grazie a un movimento dall’alto verso il basso più o meno accentuato secondo la specie, spingono il cibo nella faringe attraverso un’azione meccanica verticale. Vale a dire che questi animali usano gli occhi come un vero e proprio compattatore, com’è stato accertato con esami ai raggi-X nel 2004 da ricercatori dell’Università del Massachusetts.
Una serie incredibile di stranezze, e tante altre ce ne sono da scoprire, se ne avremo il tempo. La gran parte degli anfibi è oggi a rischio estinzione per l’azione diretta del fungo chiamato Batrachochytrium dendrobatidis, responsabile della chitridiomicosi – malattia presente anche in Italia dal 2001 che aggredisce la sensibilissima pelle di questi animali – ma anche e soprattutto per i cambiamenti climatici e per l’attività antropica che deteriora l’ambiente. (Autore: Marco Raldi)