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Qualche tempo fa mi è capitato di leggere una citazione dell’Harvard Business Review, la prestigiosa rivista di management della Harvard Business School dedicata ai professionisti del business: “Il divario tra clienti soddisfatti e clienti insoddisfatti può far fallire un’azienda”. Che, nella pratica quotidiana dei nostri pet shop, si può anche tradurre in questo modo: oggi il fulcro di qualsiasi attività commerciale non è più il prodotto, ma il cliente. O meglio, il servizio offerto e percepito dal cliente.

È da un po’ che insistiamo su questo punto. Quando sceglie di entrare in un negozio, il cliente lo fa non solo per acquistare un prodotto o un servizio, ma anche per vivere un’esperienza di acquisto che è indotta, oltre che da fattori razionali, anche da aspetti emozionali.

 

Customer care. Ovvero il cliente al centro

Se partiamo da questo concetto, allora dobbiamo concludere che è ancora valida più che mai l’antica massima del commercio dei nostri nonni, secondo la quale “il cliente ha sempre ragione”. Solo che ora, ragionando di strategie di marketing, si tratta di capire cosa significa “avere ragione”. Ecco spiegato perché sono diventati di uso frequente termini inglesi quali customer care, customer service e customer satisfaction, che definiscono tutte quelle attività alla base di ciò di cui stiamo parlando, e cioè l’orientamento al cliente.

Quali che siano le sfaccettature dei termini, rimane chiaro che è lui – con i suoi bisogni, i suoi interessi e i suoi comportamenti – che deve essere posto al centro di ogni nostro business. E senza di lui un negozio non può fatturare.

 

Clienti soddisfatti = fidelizzazione

Per un pet shop che vuole primeggiare, non serve la politica del basso costo. Una volta forse era così, ma oggi, in alcuni casi, quest’approccio rischia addirittura di mettere in discussione l’immagine dell’attività.

Per il successo e il riconoscimento della qualità del prodotto il ruolo fondamentale è svolto dal servizio percepito dal consumatore come parte integrante della vendita. Questo diventa il punto centrale su cui concentrare le attività di marketing e sviluppo.

Come già molti anni fa diceva quell’uomo geniale che era William Edwards Deming, “Il profitto e la crescita di un’azienda derivano da quei clienti che sono deliziati dal vostro prodotto o dal vostro servizio, i clienti fidelizzati. A questi clienti non serve la pubblicità e non necessitano di stimoli: vengono da voi a comprare e portano con loro un amico”.

Vogliamo dirlo in modo più semplice? I clienti soddisfatti riacquistano i prodotti e innescano un passaparola positivo che genera nuova clientela.

 

Clienti scontenti = pessima pubblicità

Quindi? Prima regola: trattare chi entra in negozio come se fosse la persona a cui tenete di più.

Ed come una persona che “ha sempre ragione”. Non perché abbia “davvero ragione”, da un punto di vista di verità assoluta. Ma perché è inutile tentare di convincere chi pretende di avere ragione.

È più importante armarsi di tanta, tantissima pazienza per cercare di soddisfare i suoi desideri e risolvere i suoi problemi.

Sì, proprio così. Anche quando il cliente si lamenta che il prodotto che gli è stato fornito non è quello che si aspettava, anche se siete convinti di essere voi ad avere ragione, offrite un’alternativa o proponete un rimborso. I soldi che perdete, considerateli costi imprenditoriali.

Sarà sempre meglio che avere un cliente scontento che non perderà occasione per parlare male della vostra attività. Sappiate che un cliente contento in media parla di voi con 3 persone, uno scontento con 7.

Con una conseguenza ben immaginabile: l’insoddisfazione del consumatore, e la sua conseguente perdita, producono un calo di fatturato non solo nel momento contingente, ma anche in futuro.

 

I clienti difficili non scompariranno mai

Nell’epoca del digitale in tempo reale, si fa in fretta a collezionare recensioni negative (anche se non sono vere). Come reagire quando si è oggetto di una cattiva pubblicità o di una pessima recensione sui social?

La strategia è rispondere spiegando dettagliatamente quello che si è fatto per rimediare (ecco perché è ancora più importante avere cura dei clienti “difficili”). Le parole negative non verranno eliminate, ma chi le legge potrà contestualizzare e capire che si è tentato di tutto per soddisfare l’acquirente.

Purtroppo esisteranno sempre persone che provocano, fanno polemiche o richieste assurde, che entrano in negozio solo per i gadget o per l’offerta di front end, e nonostante tutto avranno sempre qualcosa da ridire. E con quelle non c’è nulla da fare.

Ma è importante non permettere a nessuno di rovinare il rapporto meraviglioso instaurato con gli altri clienti. Non si deve lasciare che quattro piantagrane rovinino l’esperienza di acquisto di tutti gli altri. Nulla deve distogliere dall’offrire la migliore assistenza possibile a quei clienti che torneranno e parleranno bene con amici e conoscenti, in un circolo virtuoso senza fine.

Armarsi di santa pazienza

Un’altra piccola regola. L’assistenza ai clienti (soprattutto a quelli “difficili”) va affrontata mettendo da parte ogni sentimento, negativo o positivo, che possa in qualche modo influenzare il servizio offerto. Si sta facendo una toelettatura? Una consegna a domicilio? Un cliente non finisce mai di confrontare quel cappottino e quell’impermeabilino? Quella crocchetta o quell’altra? Se proprio non si riesce ad avere pazienza, meglio piuttosto chiedere a un collaboratore di prendere il vostro posto.

È molto più facile diventare l’ossessione di chi avete offeso, piuttosto che l’idolo di chi avete soddisfatto al meglio.

Certo! È un concetto pesante da digerire, ma anche il cliente più “difficile” può diventare fedele, se si impara a gestirlo. E dove possibile, cercare di dargli quel quid in più che gli faccia dire “tornerò da te, perché te lo meriti”.

Prendendo ancora spunto da quello che diceva W. E. Deming, abbiamo capito che “il cliente è la parte più importante del ciclo produttivo”. La conseguenza? “Qualità è soddisfare le necessità del cliente e superare le sue stesse aspettative continuando a migliorarsi”.

 

In questa stessa rubrica, sul numero di gennaio di Zampotta, abbiamo affrontato un argomento che vale la pena riprendere. Si parlava di prezzi, e in particolare delle strategie di prezzo nel marketing.

Perché tornare a parlarne? Perché sicuramente è un tema che non si esaurisce in poche pagine. E apre a tanti spunti di riflessione.

Facciamo un passo indietro. C’è una differenza enorme tra il semplice “prezzare” qualcosa e la costruzione vera e propria della presentazione del prezzo al cliente, avevamo detto il mese scorso. Aggiungendo che non serve avere i prezzi più bassi a tutti i costi per avere successo. Perché, se è vero che esistono alcuni clienti alla ricerca del risparmio in assoluto, ce ne sono molti altri disposti a pagare di più per avere lo stesso prodotto.

Essere differenti per imporre prezzi differenti

Il motivo? Secondo gli studi di marketing, è semplice. Le decisioni di acquisto spesso hanno poco a che fare con il valore reale intrinseco di ciò che si compra. Solo il 10% delle persone compie le sue scelte basandosi unicamente su quanto costa un prodotto o un servizio. Il rimanente 90% (e sono questi che dobbiamo andare a cercare) valuta quanto deve sborsare, certamente, ma lo fa insieme a tutta una serie di altri fattori.

Quali? L’essere differenti, collocarsi in modo distintivo rispetto alla concorrenza, far percepire al cliente che ciò che si vende è unico, speciale, particolare e insostituibile. Questo potrà permettere di scegliere il prezzo che si vuole, perché il consumatore percepirà quel prodotto (o quel servizio) come qualcosa di completamente diverso che non può essere paragonato a niente altro sul mercato.

Aumentare subito del 5%

Il primo suggerimento, quindi? Una strategia lampo da adottare subito per il proprio marketing? Aumentare tutto del 5%. Ricordate? Non serve tenere i prezzi bassi a tutti i costi. Perché qualcuno, magari con prodotti e fornitori più scadenti, li avrà sempre più bassi.

Andate a rileggere il paragrafo conclusivo di Marketing & Comunicazione di Gennaio. Comprare cose care è insito nella natura umana. Secondo le ricerche di marketing, una percentuale di clienti che va dal 5% al 20% sceglie sempre di default l’opzione premium price o il prodotto che tra le varie proposte costa di più.

Quindi, coraggio! Se il negozio offre un buon servizio, i clienti abituali non se ne andranno per quel piccolo rincaro, magari non se ne accorgeranno neppure.

Ma si accorgeranno e lo apprezzeranno (ed è questo il secondo suggerimento) se il pet shop proporrà una versione premium di ciò che vende.

Quando il cliente sceglie la versione premium

Torniamo a insistere su un punto cruciale dell’intera strategia di marketing, essere differenti. Se è vero che il prezzo non è un fattore oggettivo, ma è relativo al valore percepito dal cliente, allora un modo per differenziarsi è proporre gli stessi prodotti, ma in “versione premium”.

Per quale motivo? Per aumentare il valore che percepisce il consumatore. Allora sì che si potrà differenziare il prezzo, perché il costo maggiore che si è disposti a sostenere è giustificato dalla percezione di una migliore qualità rispetto alla concorrenza.

Vi assicuro che (anche se non ci abbiamo mai pensato) il negozio (ma anche il salone di toelettatura) può creare una versione premiun per ogni prodotto o servizio, in grado di portare alti margini senza fatica, proprio perché sono giustificati dalla percezione di prestigio ed esclusività.

In che modo? Si può proporre un packaging particolare come un Luxury Pack. Creare un pacchetto con altri prodotti. Focalizzare il prodotto su un target specifico. Affiancare una garanzia e se già esiste estenderla. Aggiungere la consegna a domicilio (magari in giornata). La clausola “soddisfatto o me lo riprendo”. L’assistenza post vendita. La partecipazione a un evento. La consulenza di un esperto… .

Se si vendono servizi è ancora più semplice. Basta ampliare la durata o la profondità del servizio, o altri aspetti, creando un pacchetto che costa di più….

Il risultato? Visto che comprare cose care è insito nella natura umana, dal 5% al 20% delle persone sceglierà la versione premium senza battere ciglio.

Chi invece acquisterà il prodotto normale (magari maggiorato di quel famoso 5%), avrà comunque la percezione di comprare qualcosa a un prezzo scontato. Creando per il punto vendita un duplice vantaggio. Se si dispone di una versione premium, non si dovranno fare sconti, visto che appunto nel percepito del cliente c’è già una versione “base” che costa meno.

editoriale febbraio sconto Up-selling e cross selling, due facili strategie per vendere di più

Il terzo suggerimento è in relazione a due strategie di marketing particolarmente utilizzate negli ultimi anni: up-selling e cross selling. Sono un mix eccezionale, che potremmo definire come l’arte e la scienza di indurre i clienti ad acquistare prodotti complementari a quello a cui sono già interessati in quel momento.

Secondo la definizione più comune, up-selling significa indirizzare il cliente verso un prodotto più costoso (e qualitativamente migliore) rispetto a quello che è orientato ad acquistare. Cross selling, invece, è la vendita di un prodotto o servizio in più rispetto a quanto richiesto dal cliente (che ha già confermato il primo acquisto).

Sono entrambe tattiche vincenti, legate a motivi di ordine pratico e psicologico. E funzionano perché il cliente ha già preso la decisione più importante: comprare.

Un esempio? Il cliente entra in negozio per acquistare un cappottino per il cane (o un alimento per il gatto o una seduta di toelettatura). Lasciamogli selezionare l’articolo che vuole, poi immediatamente gli presentiamo altre diverse opzioni, come il cappottino foderato in modo particolare, oppure con finiture migliori, un design più alla moda….. Un alimento più adatto alla stagione, alla razza o alle condizioni di vita, con ingredienti di maggiore qualità, bio, funzionali, olistici…. Un bagno di bellezza con trattamenti di benessere, ozonoterapia…..

In questo caso, chi vende sta cercando di effettuare un up-selling, ovvero indurre il cliente a comprare qualcosa di più costoso di quello che aveva inizialmente scelto.

Vendite abbinate per offerte imperdibili

Facile quindi intuire come nel nostro settore, siano infinite le possibilità di fare up-selling. E altrettanto infinite sono le opportunità di cross selling, cioè, invece, aggiungere un prodotto di una categoria diversa da quella dell’acquisto originale, spesso complementare o funzionale al primo, offrendo un beneficio maggiore o un vantaggio quasi irrinunciabile.

Torniamo all’esempio del cliente che cerca il cappottino per il cane. Dopo averglielo venduto, si può proporre anche in coordinato un guinzaglio o un collare o una borsina porta oggetti “ma solo oggi, perché se si acquistano insieme si ha uno sconto speciale”. L’alimento per il gatto? Aggiungendo gli snack, sono in promozione. La toelettatura? Questa settimana per ogni bagno vendiamo anche uno shampoo specifico a un prezzo vantaggioso.

In generale, basta semplicemente pianificare cosa proporre in più o in coordinato per alcuni prodotti che vengono acquistati. Una strategia vincente può anche essere quella dei lanci a rotazione, ogni mese (oppure ogni settimana) si può proporre un prodotto diverso in offerta abbinandolo a un acquisto.

È il negozio a scegliere il cliente

Per concludere. Se il prezzo fosse l’unica cosa che conta, le persone comprerebbero i vestiti solo al mercato o il cibo al discount. Invece non è così. È più corretto dire che c’è chi compra al mercato (o al discount) e chi nelle boutique (o nelle gastronomie).

Ci sono clienti per ogni fascia di prezzo. Se è il negozio a scegliere che tipo di clientela servire, allora occorre rivolgersi a quel tipo di clientela per la quale il prezzo imposto non è l’unico fattore rilevante.

I veri elementi importanti sono il prodotto offerto, la forza del brand, la nicchia di mercato, i servizi garantiti, le esperienze di acquisto del cliente, le proprie capacità di vendita, l’immagine e la reputazione del punto vendita, il personale del negozio….. Facciamoci una domanda. Tutti questi fattori sono in grado di offrire un’esperienza ai clienti che faccia passare in secondo piano il fattore “prezzo”?

A ciascuno la risposta. E in base a quella, rimbocchiamoci le maniche!

Le strategie di marketing per creare i prezzi nella propria attività e non morire schiacciato dalla “battaglia” dei prezzi, sono alla portata di tutti i professionisti che hanno la volontà di impegnarsi.

Buon lavoro.

Oltre al titolare, in negozio sono presenti principalmente due categorie di persone: i clienti e i dipendenti. E questo mese vogliamo parlare proprio di loro, di come sia importante il fattore umano nelle strategie di marketing che vengono adottate.

Scopriremo che i “clienti” non sono solo compratori e che i “dipendenti” non sono solo lavoratori.

Dalla parte del cliente

Clienti o acquirenti dunque? A prima vista si potrebbe rispondere che non ci sono differenze. Invece non è così. Consultando un vocabolario infatti scopriamo che “acquirente” è colui che si limita ad acquistare una merce o un servizio, mentre “cliente” è qualcuno che diventa l’oggetto della cura, della protezione, dello sforzo di miglioramento e dell’assistenza di un altro. Il termine “cliente” indica pertanto un livello molto più alto di rapporto, fedeltà e rispetto.

Ed è ciò che vogliamo suggerire in questo articolo: provare a considerare chi entra in negozio non più come “acquirente” ma come “cliente”.

In questo ci viene in aiuto Jay Abraham con la sua “Strategia della Preminenza”. Ho recentemente avuto la fortuna e il privilegio di assistere dal vivo a una giornata di formazione con lui. Per chi non lo conoscesse, Jay Abraham è il più grande esperto al mondo di marketing strategico, noto anche come “l’uomo da 9,4 miliardi di dollari” perché si calcola sia questa la cifra che ha aiutato a generare in centinaia di settori. Nei suoi scritti e nelle sue lezioni il guru del marketing invita a recuperare valori di vita importanti, a guardare al rapporto con il mercato in modo nuovo, ponendo il cliente al centro di ogni attenzione e sentendo la responsabilità e l’obbligo di consigliargli solo cosa sia nel suo migliore interesse. Sono questi i cardini della strategia della preminenza. E funziona, perché le persone soddisfatte tornano.

Non più solo compratori

In un mondo che sta cercando di ridurre ogni prodotto e ogni servizio a qualcosa di standardizzato e con margini bassissimi, occorre distinguersi. E il modo per farlo è quello di iniziare a pensare a chi entra in negozio in maniera diversa, non trattandolo come acquirente ma come cliente, qualcuno il cui benessere sia importante. Qualcuno per cui chiedersi se l’esperienza nel nostro negozio sia stata soddisfacente. Qualcuno da porre sotto la nostra cura e protezione.

E così anche il cliente cambierà modo di vedere il titolare del pet shop e il suo staff, considerandoli come un punto di riferimento, dei consulenti, persone di fiducia, rispettabili ed esperte.

Capite perché adottare una strategia di preminenza è veramente trasformante? Significa che i clienti sanno che ogni consiglio dato dal negoziante è soprattutto nel loro interesse. Se si suggerisce di comprare di più, il cliente deve sapere che è nel suo interesse. E se si spinge a comprare di meno, pure.

Se il negoziante è un’autorità, una persona di fiducia, un punto di riferimento, non deve mai vendere più di quanto serva per soddisfare realmente il cliente; ma allo stesso tempo non deve vendergli neanche meno di quanto realmente sia necessario o opportuno comprare.

Se quello che conta è il benessere del cliente, se costui si sentirà tutelato e protetto qualunque prodotto o servizio decida di comprare, allora il successo è garantito. Perché? Semplice, perché difficilmente la stessa persona si sentirà ugualmente bene entrando in un altro punto vendita dove non vengono messe in atto queste strategie.

Più si riserva attenzione al cliente, più si è concentrati su di lui, più questo viene percepito come valore aggiunto per il quale vale la pena ritornare. Ed ecco creata la fedeltà.

Focalizzarsi sul valore reale

Ma come diventare un punto di riferimento nel settore? Il modo più efficace senza disperdere energie è quello di specializzarsi. Ne abbiamo già parlato negli articoli precedenti: è molto difficile diventare un consulente esperto per qualcuno se si continua a voler essere “tuttologi” con una gamma infinita di prodotti e servizi. Non funziona. La focalizzazione permette invece non solo di venire percepiti come autorità nel campo, ma di esserlo davvero, creando anche uno staff commerciale molto più performante in meno tempo.

Ogni negozio, ogni attività ha delle opportunità nascoste, delle risorse sottovalutate o non sfruttate.

Essere diversi, distintivi, speciali, unici e vantaggiosi agli occhi dei clienti è fondamentale per il successo. Occorre focalizzarsi e diventare la prima scelta quando si pensa a quel prodotto o a quel servizio. Si deve arrivare a essere considerati come l’unica soluzione praticabile per il problema o il desiderio che si ha necessità di soddisfare.

Per ottenere i massimi benefici dalle azioni strategiche di marketing occorre distinguersi e operare al più alto livello di etica, di integrità, di verità. Creare valore reale significa creare valore sulla base di ciò che i clienti definiscono essere il valore per loro.

Prima c’è il marketing

Dal punto di vista psicologico è importante produrre vittorie a breve termine, anche piccole, perché portano a valutare che si è sulla strada giusta e tendono a creare, in combinazione, risultati straordinariamente sostanziali quando si applica l’impatto esponenziale.

Ma è altrettanto importante che ogni negoziante sia disposto ad affrontare rischi e sia pronto a investire. In Italia c’è il bruttissimo vizio di non farlo o, peggio ancora, di investire solo in ciò che si percepisce come qualcosa di “tangibile”. Invece che reinvestire in marketing, si investe in nuovi uffici, arredamento o nell’automobile per il proprietario. Sbagliato. Prima c’è il marketing.

Più spazio alle persone

E poi sicuramente su un elemento vale veramente la pena investire: su dipendenti e collaboratori. Perché? Perché quando una persona svolge il proprio lavoro con serenità e sentendosi apprezzata, dà il meglio di sé. È per questo motivo che avere dipendenti soddisfatti, che si sentono valorizzati e partecipi della realtà che li circonda, è una vera e propria necessità. Anzi un valore aggiunto.

Le risorse umane possono davvero fare la differenza! A patto però che si riesca a dare più spazio alle persone, valorizzando le loro capacità, ascoltando le loro esigenze e mettendole in relazione con i più grandi obiettivi del negozio. Significa conoscere ogni singolo dipendente, capirne ambizioni, capacità, attitudini e vocazioni, tracciarne il profilo formativo e professionale e capire l’approccio migliore per valorizzarlo e stimolarlo così a dare il meglio.

Il successo è merito di un lavoro di squadra

Per coinvolgere i collaboratori e stimolarli a dare il meglio di sé non è sufficiente un aumento di stipendio, un avanzamento di carriera o una gratifica natalizia. Molto meglio aiutarli a diventare quello che gli americani definiscono dei “business leader”, applicando anche per loro la stessa Strategia della Preminenza.

Un premio, un incentivo, una promozione possono essere sicuramente importanti, ma quello che conta è investire sul proprio staff in termini di formazione. Perché questo significa pensare al benessere della squadra, desiderare il meglio per loro, aiutarli a raggiungere degli obiettivi, vedere le loro vite personali prosperare, crescere e migliorare.

I collaboratori non sono solo una forza lavoro, sono delle menti in grado di offrire idee, opinioni e strategie.

Per esempio, stimolando il dipendente a imparare sempre cose nuove lo aiutiamo a essere più autonomo, più attento, più consapevole, più maturo, cioè a raggiungere i suoi obiettivi di crescita professionale.

Cosa sappiamo della vita delle persone che lavorano con noi? È importante capire quali siano le loro motivazioni e legarli con uno scopo più grande, che non sia il solo stipendio a fine mese ma il raggiungimento di un obiettivo comune. E quando si arriva al traguardo, fermarsi con tutta la quadra a celebrare insieme il raggiungimento del risultato.

Valorizzare i dipendenti, aiutarli a raggiungere i loro obiettivi vuol dire ottenere fedeltà, risultati e rapporto di sostegno al massimo livello. Così si conquisteranno i collaboratori migliori e loro resteranno, imparando a specializzarsi e a padroneggiare tutti i segreti e le sfumature dei prodotti e servizi mettendone in risalto con maggiore chiarezza i vantaggi rispetto a ciò che propone la concorrenza. Se si riesce a creare uno staff focalizzato che condivide l’attenzione e la cura del cliente, si avrà un enorme impatto sul mercato di riferimento. Valorizzare i dipendenti porta a ottenere fedeltà, risultati e rapporto di sostegno al massimo livello.

Valorizzare i collaboratori si può, anzi si deve

Di norma purtroppo la mentalità italiana non porta a investire sui propri dipendenti, forse per il timore che offrire un alto livello di competenza possa portare al rischio di farli catturare dalla concorrenza. Ma se un’attività viene gestita bene, questo rischio non si corre. Anzi i collaboratori comprendono di essere parte di un progetto, si sentono motivati, non lavorano più solo per lo stipendio ma anche per essere parte attiva dell’azienda. Un punto è importante. Non si abbandonano mai le aziende. Si abbandonano le persone. In particolare quelle persone che non investono nulla per far crescere i dipendenti, per dar loro nuovi strumenti e per facilitarne i compiti più gravosi.

Investire in marketing è il primo regalo che si possa fare. Prima delle vacanze, delle giornate libere, dei viaggi premio, degli incentivi (che devono esserci, per carità).

Prima di poter essere re-distribuita, la ricchezza va prodotta. Quindi il primo investimento per “restituire” qualcosa ai collaboratori è sempre e solo uno: il marketing e la formazione.

Fornire ai collaboratori gli strumenti per crescere professionalmente, per sentirsi rispettati e valorizzati è fondamentale per ottenere da loro impegno totale. Anche se i concorrenti avranno gli stessi prodotti, abbasseranno i prezzi e imiteranno le strategie, non saranno mai in grado di emulare una cultura aziendale vincente che mette al centro il dipendente e il cliente.

È il negozio che deve adattarsi alle abitudini del cliente? Oppure è il contrario? La risposta alla domanda sembra ovvia. Per sopravvivere, per uscire dalla crisi, per incrementare il business, il negozio deve andare incontro alle esigenze della clientela. Eppure, nei fatti, spesso non è così.

Con questa nuova puntata di Marketing & Comunicazione affrontiamo un argomento un po’ spinoso e che già sappiamo susciterà reazioni contrastanti. Ma il marketing è proprio questo: conoscere e mettere in pratica strategie che diano modo di implementare la clientela e le vendite. E nessuno ha mai sostenuto che queste strategie siano facili e comode.

Arriviamo quindi all’argomento di questo mese: l’orario di apertura. Insieme all’incremento dei servizi che creano la differenza – di cui abbiamo già trattato nei numeri precedenti – il prolungamento degli orari di apertura è uno dei principali strumenti che risponde alle domande e alle esigenze del consumatore.

7 giorni su 7

Per avere successo, per mantenere i clienti e trovarne di nuovi, oggi occorre essere aperti, se non 24 ore su 24 (obiettivo verso cui stanno puntando molti centri della GDO o quantomeno i punti vendita più ampi e strutturati), almeno 7 giorni su 7. Un’esagerazione? Una provocazione? Dipende dai punti di vista. Se gestire un pet shop viene considerato alla stregua di qualsiasi altra attività, allora potrebbe esserlo. Ma se siamo convinti che significhi adottare uno spirito imprenditoriale e mettere in campo tutte (ma proprio tutte) le strategie di marketing per fare business, allora no! Come abbiamo già scritto in un articolo precedente, perché non valutare l’ipotesi di tenere aperto quando gli altri negozi nella città sono chiusi?

Ancora una volta l’esempio arriva dagli Stati Uniti da dove questo trend si è diffuso progressivamente in altri Paesi di tutto il mondo. Le abitudini ormai sono cambiate. Oggi sono sempre di più le famiglie in cui lavorano entrambi gli adulti oppure i nuclei formati da single lavoratori che necessitano di orari al di fuori di quelli tradizionali per fare acquisti e usufruire di servizi. Per soddisfare questo segmento di clientela non c’è altra via d’uscita: tenere aperto, almeno un po’ di più. Per aumentare le vendite e acquisire nuovi clienti bisogna “osare” un cambiamento del proprio trend di attività: non chiudere per ferie, non chiudere la domenica, non chiudere da mezzogiorno alle tre, non chiudere la sera.

È in questo modo che si va incontro ai bisogni e alle aspettative della gente. La grande distribuzione già lo fa. Le grandi catene già lo fanno. Internet anche. E guarda caso, internet va bene. E internet non chiude mai. È questa la vera concorrenza oggi da temere più che la GDO, perché il web non va mai in vacanza. E quando si prenota un acquisto, arriva comodamente a casa il giorno dopo, spesso senza dover sostenere nessuna spesa di spedizione aggiuntiva.

Mille buoni motivi

State leggendo il numero di novembre della rivista, quindi è il periodo in cui, come negozianti, vi apprestate a fare gli ordini dei prodotti per le prossime festività natalizie. Ecco quindi che già da subito si presenta un’ottima opportunità di mettere in pratica quanto detto. Perché non provare a prolungare l’orario serale almeno il sabato e la domenica?

La strategia del “tenere aperto” è uno strumento di marketing semplice ma efficace. Soprattutto in un settore di piccoli negozi, dove abbondano le pause pranzo più o meno lunghe, il mettere fretta ai clienti in orario di chiusura, i giorni di riposo, le domeniche in famiglia, le ferie… Certo, si possono trovare mille motivi per chiudere, dalla famiglia alle esigenze personali. Ma poi non lamentiamoci se gli affari vanno male. Al giorno d’oggi chi ha un’attività aperta al pubblico deve capire che con il cambiamento delle abitudini d’acquisto, devono cambiare anche le abitudini del negozio. Devono cambiare le abitudini di titolari e dipendenti (tra l’altro i nuovi stili di vita permettono oggi di reperire personale disponibile a una flessibilità e a orari di lavoro non tradizionali). Che ci piaccia o no, il mondo è cambiato. E il negozio deve cambiare, se non vuole restare al palo.

Quando il consumatore è più propenso a fare acquisti? Quando non ha altri impegni. Bisogna imparare a tenere aperto quando i clienti vogliono e possono comprare. Non quando vogliamo noi. In pausa pranzo? La domenica? La sera? In agosto? Durante le vacanze di Natale che si avvicinano? Non si può pensare di andare in ferie dalla vigilia sino all’Epifania, quando la gente è a casa e può andare in giro a fare acquisti. Non si può soprattutto se poi, quando si riapre, si ricomincia con la solita lamentela sulla crisi.

Lo ripetiamo. Ci sono mille motivi per tenere chiuso. Ma allora è inutile parlare di marketing.

Se si vuole prosperare con il proprio negozio, bisogna tenere aperto. Magari non sempre, ma soprattutto quando il cliente è incline a comperare.

Negozi aperti quando il cliente vuole e può comperare

Facciamo chiarezza. Non significa che si debba lavorare 365 giorni l’anno. Ovviamente, organizzandosi per tempo, tutti quelli che collaborano in negozio, compreso il titolare, hanno diritto ai giorni di ferie o di riposo.

Il punto è che si deve organizzare il lavoro in modo che a ci sia sempre qualcuno presente che tenga aperto il più possibile. Questo significa crescere e puntare a diventare più grande e più performante.

Non sono più i tempi in cui dopo il 25 dicembre tutti partivano per le vacanze…

Il mondo è cambiato. Basta guardarsi intorno. La gente gira per negozi prima di Natale e dopo Natale. A marzo come a luglio, come ad agosto, come a ottobre. Certo, è difficile pensare che un cliente abbia l’urgenza di avere le crocchette del cane proprio la sera della vigilia o il giorno dopo. Ma perché quindi non pensare di organizzare un evento particolare sul punto vendita che coinvolga pet e proprietari, magari proprio il 24 sera? È un’idea fra tante, ma l’importante è fare capire al cliente che il vostro pet shop è un luogo disponibile anche quando gli altri non lo sono. Un esempio. Vi è mai capitato di fare acquisti di Natale dell’ultimo minuto? Con quell’ansia frenetica di quando si esce dall’ufficio alle sei, si corre in centro e si trovano metà dei negozi già chiusi? Non sarebbe bello che il cliente trovasse invece il vostro punto vendita che, proprio quando tutti hanno già abbassato la serranda, offre un orario più “rilassato”?

Qualche ora in più

Si può iniziare con le cose più banali, come evitare di abbassare la serranda in pausa pranzo e dopo le 19.00, per permettere alle persone che lavorano di fare acquisti. Poi si possono fare i passi successivi.

Tenere aperto è una fondamentale leva di marketing. Perché?

Primo, perché consente di fare nuovi clienti strappandoli alla concorrenza che magari non ha ancora capito quanto questo sia importante e quindi resta chiusa.

Secondo, perché aiuta a creare relazione con i già clienti e fidelizzarli.

Terzo, perché permette di non perdere clienti a favore della concorrenza che invece, magari, tiene aperto.

Se un negozio resta chiuso dopo Natale fino all’Epifania e nel frattempo il vecchio cliente ha bisogno di un prodotto o un servizio, non aspetterà la riapertura. Andrà da un concorrente che magari proverà (e forse riuscirà) a fidelizzarlo con offerte speciali, tessere sconto ecc… e quel cliente sarà perso per sempre.

Se invece il negozio si colloca nella mente del cliente come qualcosa di assolutamente indispensabile, che risponde alle sue esigenze e risolve i suoi problemi, allora si può spazzare via la concorrenza.

Iniziare subito a comunicare

Ma tenere aperto, di per sé, non basta (e non serve) se non è accompagnato da un’adeguata comunicazione al cliente. Certo, tenere aperto è il primo passo. Ma il passo successivo, sicuramente ancor più fondamentale, da non scordare mai, è quello di programmare e comunicare.

Purtroppo in Italia uno degli errori tipici è quello di fare le cose senza criterio, è la strategia nota come “fare e sperare”, ovvero proviamo e vediamo che succede.

Magari sull’onda dell’entusiasmo un lettore può decidere di prolungare l’orario della propria attività, anche solo per prova. Ma ciò non basta… lo ripetiamo!

Se si vuole iniziare a tenere aperto in orari particolari, in giorni particolari, durante le feste, si deve far sapere, si deve comunicare ai clienti (potenziali e già acquisiti) che quel giorno, in quella fascia oraria, in quei giorni particolari, il negozio non chiuderà, perché altrimenti loro non potranno saperlo.

Se, per esempio, il negozio la domenica è sempre chiuso e improvvisamente il titolare decide invece di alzare la serranda, il cliente che non lo sa, non lo può immaginare, e quindi non verrà ad acquistare. Se è la prima volta che si prova a tenere aperta l’attività durante la domenica o da mezzogiorno alle tre o alla sera, non si può fare di sorpresa.

Si deve cominciare a comunicarlo non giorni, non settimane, ma mesi prima. Se si apre a Natale si deve fare promozione ora ai potenziali clienti. Come? Annunciandolo e mettendolo in evidenza sul sito, sul blog, su facebook, sulla app, in ogni telefonata, sulla vetrina del negozio, a ogni cliente che entra, scrivendolo sugli scontrini e sulle fatture, sulle buste e sui bigliettini, ovunque.

Non si può semplicemente sperare che la gente passi e si fermi.

Impariamo a comunicare. Da ora. Iniziamo a sognare (e agire) in grande.

Come trovare nuovi clienti? È la prima domanda che si pone l’imprenditore o il negoziante quando programma una strategia di vendita. Ma è una domanda sbagliata. O quantomeno mal posta, perché in realtà il problema è diverso. Nella maggioranza dei casi i potenziali clienti non sono mai nuovi, sono già clienti di qualcun altro, comprano in un altro negozio e sono serviti da un altro fornitore.

Quindi la domanda corretta da porsi è: come faccio a convincere i clienti del mio concorrente a venire ad acquistare da me?

È per questo che trovare “nuovi” clienti è così difficile. Perché, in qualche modo, hanno già trovato qualcun altro che li soddisfa. Non sempre, non ovunque, ma nella maggioranza dei casi è così.

Ricordate cosa dicevamo sul numero del mese scorso a pagina 20? Negli anni successivi al dopoguerra, quando mancava tutto, bastava aprire un’attività e far sapere della propria esistenza per veder arrivare valanghe di acquirenti. Bastava far sapere che esistevi e la gente veniva per forza da te. Bastava essere il primo a fare quella cosa, farlo sapere in giro e il volume d’affari era garantito. Bastava lavorare bene e la voce si spargeva automaticamente. Erano anni in cui era facile fare impresa e fare business. Ed è stato così per decenni funzionando benissimo. In un’Italia devastata dalle bombe, non serviva fare marketing. Serviva aprire bottega, tenere la testa bassa e lavorare sodo. Ora non più.

La più grande sfida

Ora invece il problema non è solo la crisi. È svanita l’onda lunga di quel risorgere dalle macerie, e non tornerà. Niente è facile, non basta più farsi conoscere in un mondo pieno di concorrenti. Una volta il marketing non era necessario. Ora sì.

Oggi non esistono più i clienti di nessuno.

Oggi la grande sfida è spiegare in maniera persuasiva ai clienti che, anche se pensano di essere soddisfatti, in realtà potrebbero esserlo molto di più con il nostro prodotto.

La più grande sfida come negozianti è riuscire a contattare con gli strumenti adatti i clienti di qualcun altro, che magari sentono di non avere bisogno di nulla più, e convincerli a convertirsi al nostro prodotto o al nostro servizio.

Ecco perché nel mercato attuale è inutile farsi conoscere. O quantomeno, non basta.

A cosa serve far sapere che esisti, se la maggioranza del tuo target non sente il bisogno di te?

Oggi, quando si ha bisogno di qualcosa, si va su internet a cercarla e si trovano centinaia di concorrenti, che offrono tutti (o quasi) prodotti o servizi simili.

Anche nel caso il nostro prodotto o servizio sia realmente migliore, nel senso di più adatto alla loro situazione specifica, se non si è in grado di comunicarlo andando dritti al punto, non si riuscirà a far cambiare abitudini al cliente potenziale.

Non è vero che per il business di un’attività basti farsi conoscere, essere creativi o emozionare sperando che la gente compri, diventare virali facendo parlare di sé sui social, ricevere like, condivisioni…

Quando si fanno già tutte queste cose, si è convinti di aver fatto tutto il possibile in termini di visibilità, e invece la maggior parte delle volte non è così.

Per quanto la buona volontà, la grinta è l’impegno siano importanti, purtroppo serve di più.

I motivi per cambiare le abitudini d’acquisto

Dobbiamo dare ai clienti un motivo valido per spingerli a cambiare le proprie abitudini di acquisto. Il marketing è questo: indurre a comprare da noi, invece che da uno dei nostri tanti concorrenti, piuttosto che non comprare nulla.

Come? Trovando un modo di differenziarsi nettamente dalla concorrenza e scegliendo i canali più adatti per comunicarlo.

Quando creiamo il materiale per una campagna di marketing, teniamo ben presente alcuni punti essenziali. Perché il cliente dovrebbe comprare da noi? Cosa potrebbe fare per conoscere la nostra idea differenziante? Perché non dovrebbe farsi sfuggire la nostra offerta? Perché il nostro prodotto è più adatto alla sua esigenza specifica rispetto agli altri? Dove potrebbe chiedere informazioni oppure trovare un prodotto o un servizio di prova? Perché dovrebbe acquistare ora e non più tardi? Come accettare la nostra offerta?

Non serve mandare a caso il materiale promozionale, occorre sapere dove si trovano i potenziali clienti. In che modo? Si può partire da una campagna online profilando un pubblico e scegliendo il modo più efficace per raggiungerlo attirando l’attenzione e spingendo ad agire.

Ad esempio con un buono, un’offerta, un prodotto in edizione limitata, una consulenza… fare in modo che il potenziale cliente voglia saperne di più, venendo a visitarci sul punto vendita per sfruttare l’opportunità che gli abbiamo messo sotto il naso.

E una volta che il cliente ha comprato, continuare a seguirlo con gli strumenti più adeguati per fargli venire la voglia di tornare più volte, ricontattandolo per un feedback o un’assistenza e stimolandolo con nuovi tentativi di vendita.

Be different!

Tutti possiamo essere differenti. Trovando quelle opportunità nascoste nelle pieghe del nostro settore che nessuno sta sfruttando.

Non serve essere una grande impresa. Anche le piccole realtà possono imparare modelli e strategie che servano a comunicare perché il nostro negozio è differente, perché un cliente deve scegliere di comprare proprio da noi invece che da qualunque altro. Le idee possono essere tante, basta fermarsi un attimo e focalizzarle con la grinta per affrontare nuove sfide.

Oggi purtroppo il fatto di aprire bottega in sé non è più condizione sufficiente perché i clienti entrino in negozio desiderosi di comprare qualunque prodotto. Pensiamo agli anni ’50 e ’60, quelli della ricostruzione del dopoguerra e del miracolo italiano. Mancava praticamente tutto. Quindi se eri il primo negozio ad aprire per vendere pentole (tanto per fare un esempio), era molto semplice: bastava far sapere che esistevi e cosa facevi. Funzionava? Certo! Non c’era praticamente nulla e quindi i più veloci ad aprire un’attività specifica attiravano automaticamente i clienti, perché mancava tutto e c’era “fame” di qualunque cosa. Era sufficiente questo per fare la differenza e crearsi un business di successo.

Cosa è cambiato oggi? Colpa del governo, delle tasse, della crisi? Si, forse, anche. Ma non solo. Perché anche in tempo di crisi ci sono comunque realtà che vanno a gonfie vele. Eppure il mercato è lo stesso per tutti, così come il governo e le tasse. Quindi, cosa è cambiato?

È cambiato l’atteggiamento con cui si affrontano la crisi e il cambiamento. Una volta, la condizione stessa di sollevare la serranda e collocarsi su una zona di passaggio era di per sé sufficiente per avere un business e attirare clienti. Poi è arrivata la concorrenza che cercava di portarti via chi comprava vendendo le stesse cose a minor prezzo. Non era quindi più sufficiente avere un buon prodotto, ma era necessario affiancare al prodotto anche un servizio. Ai giorni nostri non basta più nemmeno il servizio, serve altro. Perché? Semplice, la concorrenza è tanta, ci sarà sempre chi fa il prezzo leggermente più basso, quindi non può essere solo questa la discriminante in termini di scelta. Dobbiamo offrire delle reali motivazioni di acquisto. Chiediamoci: “Perché dovrebbero comprare da me e non da altri?” O semplicemente: “Perché dovrebbero comprare qualcosa da me piuttosto che non comprare nulla?” E infine: “Perché dovrebbero comprare ora, in questo preciso istante, e non magari in un altro momento?”.

Per fare business, occorre quindi mettere in campo una molteplicità di competenze, ma soprattutto occorre essere convinti che il successo di un’impresa dipenda principalmente da noi e da come promuoviamo la nostra attività.

In altri Paesi, cercare di attirare clienti facendo una promozione della propria impresa è assolutamente normale. In Italia no. Anzi, sembra quasi che ci sia una sorta di pudore, una specie di vergogna nell’andare a proporsi. Se pensiamo ad alcune categorie di professionisti, come medici o avvocati, farsi promozione viene addirittura considerata una carenza di professionalità. L’italiano sembra soffrire di una genetica avversione a pubblicizzare sé stesso, come se fosse maleducazione. Invece in tanti Paesi del mondo, Stati Uniti in testa, dove vi è magari una sensibilità commerciale più sviluppata, promuoversi spiegando i motivi per cui un cliente dovrebbe rivolgersi a noi, è al centro di tutto.

Se facciamo una piccola ricerca su internet, ci rendiamo immediatamente conto di quanto poco gli italiani abbiano la percezione che sia necessario darsi da fare per imparare metodi che portino all’acquisizione di nuovi clienti.

Partiamo da questo dato: in Italia ci sono circa quattro milioni di partite Iva, tutte vincolate alla necessità di fare clienti per rimanere aperte. Sommando tutte insieme le parole chiave più rilevanti legate al fare più clienti, arriviamo a fatica a 400 ricerche al mese su Google. Cosa significa? Che in Italia, in media, solo una piccolissima parte di persone si informa su come sia possibile acquisire clienti. Non ci dovrebbe quindi stupire l’alto numero di attività che chiudono. Nessuno nega che la situazione economica attuale che attraversa l’Italia sia di reale crisi. Aggiungiamoci poi il malgoverno, l’eccessiva tassazione, i problemi burocratici, le banche … ma c’è anche un altro fatto incontrovertibile: gli italiani hanno la percezione di essere in crisi, ma non hanno assolutamente la percezione che sia necessario trovare nuovi modi per fare nuovi clienti.

Quali sono le motivazioni che spingono ad aprire un’attività? Spesso l’italiano medio avvia un’impresa per crearsi un proprio posto di lavoro autonomo, in modo da non dover dipendere da altri.

Pensiamo ad esempio all’ambito della ristorazione: quanti sono i ristoranti, le pizzerie o i bar che aprono spinti solo dalla necessità di sistemare la famiglia! La moglie in cucina, il figlio a servire ai tavoli e il cugino in cassa… tutti senza alcuna competenza imprenditoriale. Il risultato è che si trovano poi una miriade di ristoranti e di pizzerie tutte uguali che navigano in pessime acque, con i titolari che si lamentano delle colpe degli altri (e qui tornano in gioco il governo, le tasse, la burocrazia, le banche) ma non sono disposti a sentirsi responsabili di come stanno andando le cose.

Ma la domanda è sempre la stessa. Quanti di loro dedicano anche solo un’ora della loro giornata per leggere, studiare, capire, formarsi e investire realmente sull’unica cosa che realmente conta: acquisire nuovi clienti? Saper offrire dei pasti accettabili al giusto prezzo non è più neppure la condizione indispensabile per avere successo. Anzi, in alcuni casi non è affatto così. Vi faccio un esempio: a Modena c’è un ristorante, si chiama Osteria Francescana, il cui costo medio a persona per una cena è di 350 €. Sempre vuoto? Tutt’altro! È praticamente impossibile riuscire a trovare un tavolo libero. Fino a fine gennaio è tutto esaurito. E se si vuole prenotare per il prossimo anno, è necessario richiamare dopo l’estate.

Cosa significa? Che per avere successo non basta avere buoni prodotti da vendere a buon prezzo, oggi non è più la condizione sufficiente perché gli affari vadano a gonfie vele. Occorre mettere in campo una molteplicità di competenze che diversifichino l’attività, per convincere il cliente – come dicevamo prima – a comprare da noi e non da altri, ora, in questo preciso istante. Di prodotti eccellenti e di aziende con servizi e articoli di altissima qualità, purtroppo, è piena la storia dei fallimenti. Per avere successo, bisogna trovare le giuste modalità per promuovere l’essere differenti e così attirare nuovi clienti. Come il ristorante di Modena, che ha senza dubbio puntato sull’ottima qualità dei piatti che serve, ma non solo.

E oggi in Italia sono proprio pochi, pochissimi i negozi che lo fanno veramente.

Le strategie per attirare nuovi clienti, che in gergo tecnico definiamo con un generico “fare marketing” sono oggi considerate una vera a propria disciplina scientifica che va studiata e approfondita. Non è prerogativa destinata solo alle grandi imprese. Anche le piccole realtà possono imparare e adottare dei modelli e delle strategie che servano a comunicare perché il nostro negozio è differente, perché un cliente deve scegliere di comprare proprio da noi invece che da qualunque altro concorrente.

Il marketing è la chiave del successo di qualunque attività, ipotizzare di fare impresa senza usare e mettere in campo nessuno strumento di marketing, è pura utopia.